In merito allo sviluppo della demenza, una variante genetica piuttosto diffusa, presente in circa 1 uomo su 36, è stata identificata come fattore di rischio significativo. Lo evidenzia uno studio coordinato da un team di ricercatori australiani, pubblicato sulla rivista Neurology. Secondo i dati raccolti, questa specifica mutazione raddoppia il rischio di sviluppare demenza negli uomini, mentre non sembra avere effetto nelle donne.
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Le basi dello studio: i dati dello studio Aspree
La ricerca si è basata sui dati dello studio Aspree, un trial clinico internazionale condotto su oltre 19.000 anziani sani provenienti da Australia e Stati Uniti. Inizialmente progettato per valutare l'impatto dell'assunzione quotidiana di aspirina a basso dosaggio, lo studio ha generato un database ampio e dettagliato, oggi utilizzato per approfondire molteplici tematiche legate all'invecchiamento. I ricercatori hanno utilizzato queste informazioni per indagare l'influenza delle varianti genetiche del gene Hfe, coinvolto nella regolazione del ferro nell’organismo, sul rischio di demenza.
Il ruolo della variante H63D e la differenza tra i sessi
La variante H63D del gene Hfe è presente in forma singola in circa 1 persona su 3 e in forma doppia in 1 persona su 36. I dati dello studio mostrano che solo gli uomini con due copie della variante presentano un rischio significativamente aumentato di sviluppare demenza. Chi possiede una sola copia della mutazione non mostra alterazioni nel rischio. Resta però inspiegata la disparità tra uomini e donne: la variante non sembra avere effetti sulle donne, aspetto che richiederà ulteriori studi per essere compreso appieno.
Non il ferro, ma altri meccanismi
Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, il rischio maggiore di demenza non è direttamente legato ai livelli di ferro nel sangue. Sebbene il gene Hfe sia coinvolto nell'emocromatosi – una condizione di sovraccarico di ferro – lo studio non ha rilevato correlazioni tra le concentrazioni ematiche di ferro e l’incidenza della malattia. Questo suggerisce che i meccanismi patogenetici all’origine della demenza siano diversi e più complessi, forse legati a danni cerebrali indotti da infiammazioni o stress ossidativo.
Demenza negli uomini: verso una prevenzione personalizzata

Gli autori dello studio auspicano che, grazie a questi dati, si possa avviare una nuova fase nella prevenzione della demenza, con approcci più mirati e differenziati per genere. In particolare, si ipotizza l’estensione dei test genetici del gene Hfe agli uomini asintomatici come strumento di valutazione del rischio, con l’obiettivo di avviare monitoraggi clinici anticipati nei soggetti geneticamente predisposti. La possibilità di intervenire precocemente potrebbe rallentare la comparsa dei sintomi o migliorare la qualità della vita nei soggetti a rischio.
Una collaborazione scientifica ampia
La ricerca rappresenta un esempio virtuoso di sinergia tra istituzioni accademiche e sanitarie. Hanno partecipato al lavoro scienziati della Curtin University, della Monash University, dell’Università di Melbourne, del Royal Children’s Hospital, del Murdoch Children’s Research Institute e del Fiona Stanley Hospital. Il risultato dimostra il valore della cooperazione interuniversitaria nella ricerca sulle malattie neurodegenerative.
Visite specialistiche e prevenzione mirata
Il riconoscimento precoce della demenza passa attraverso una rete di controlli neurologici mirati. In presenza di fattori di rischio genetico come la variante H63D, gli uomini sopra i 60 anni possono trarre beneficio da controlli regolari con specialisti in neurologia, anche in assenza di sintomi. La prevenzione si articola su più livelli: anamnesi familiare, esami cognitivi standardizzati, imaging cerebrale, e – in casi selezionati – test genetici. Intercettare precocemente segni anche lievi di declino cognitivo può fare la differenza in termini di intervento e qualità della vita.
Esami specialistici per una diagnosi tempestiva
Nel percorso diagnostico della demenza, diversi esami strumentali e clinici possono contribuire a una valutazione approfondita. La risonanza magnetica cerebrale resta uno strumento di riferimento per identificare atrofie o alterazioni strutturali. A supporto, esami neuropsicologici standardizzati consentono di valutare la funzionalità cognitiva nelle sue diverse componenti. In presenza di fattori genetici, può essere indicata anche una mappatura genetica mirata, per evidenziare la presenza di varianti note come H63D. Infine, il monitoraggio periodico dei marcatori infiammatori e del metabolismo del ferro può fornire ulteriori indizi sullo stato di salute cerebrale del paziente.
Prospettive future: ricerca e medicina di precisione
I risultati dello studio australiano aprono la strada a nuove ricerche su come il genere influenzi i meccanismi molecolari che conducono alla demenza. Comprendere perché solo gli uomini siano vulnerabili agli effetti della variante H63D potrà favorire lo sviluppo di trattamenti differenziati e strategie di medicina personalizzata. La genetica sta ridefinendo il concetto stesso di prevenzione, offrendo strumenti per individuare le fragilità individuali ben prima della comparsa dei sintomi clinici. In questo scenario, la demenza non è più solo una condanna ineluttabile legata all’età, ma una condizione in parte gestibile grazie all’anticipazione e alla conoscenza.