I medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale potranno continuare a esercitare fino al compimento dei 73 anni. La novità è stata introdotta con un emendamento al decreto Pubblica Amministrazione, approvato definitivamente in Senato.
Parliamo di:
Durata e obiettivo della misura
La disposizione sarà valida fino al 31 dicembre 2026 e punta a fronteggiare la grave carenza di personale nella medicina territoriale, accentuata dal progressivo invecchiamento della categoria. L’età media dei medici di famiglia è tra le più alte dell’intero sistema sanitario.
Stime e criticità del ricambio
Secondo le proiezioni, nel periodo tra il 2024 e il 2027 circa 7.300 medici di famiglia, su un totale di circa 35.000, raggiungeranno l’età pensionabile. Le nuove leve provenienti dai tirocini triennali non risultano sufficienti a garantire il ricambio generazionale.
Scelta su base volontaria
Il prolungamento fino a 73 anni non sarà automatico ma richiederà un’intesa tra il singolo medico e la Asl di riferimento, in base alle necessità assistenziali dei territori.
Pazienti oltre il massimale
Nel frattempo aumenta il numero di medici che assistono oltre 1.500 pazienti, superando talvolta quota 1.800, a causa del ridotto numero di professionisti attivi.
Verso la riforma della medicina generale

La misura si inserisce nel più ampio contesto della riforma della medicina territoriale, che dovrebbe prendere forma nel 2026 con l’attivazione delle Case e degli Ospedali di comunità previsti dal Pnrr.
Un documento tecnico in preparazione
Gli assessori regionali alla Sanità, riuniti nella Commissione Salute, stanno lavorando a un documento tecnico da presentare al ministro della Salute Orazio Schillaci. Tra le ipotesi in discussione vi sono nuove modalità di organizzazione del lavoro, compresa una revisione dei modelli di presenza nelle strutture territoriali.
Uno scenario che spinge al ripensamento strutturale
L’estensione dell’età pensionabile a 73 anni rappresenta una risposta contingente, ma evidenzia l’urgenza di un intervento strutturale sul sistema della medicina generale. La distribuzione territoriale dei medici è sempre più disomogenea, con aree interne e periferiche in forte sofferenza. Le difficoltà di accesso ai servizi di base si traducono in un aumento della pressione sugli ospedali e sui pronto soccorso, spesso costretti a farsi carico di prestazioni che dovrebbero essere gestite a livello territoriale. Inoltre, la mancata programmazione negli anni scorsi ha generato un disallineamento tra fabbisogni reali e numero di borse di studio disponibili per la formazione dei futuri medici di famiglia. L’attesa riforma dovrà intervenire sia sulla governance del sistema che sulla capacità attrattiva della professione, oggi percepita come poco sostenibile per carichi di lavoro, burocrazia e isolamento professionale. L’obiettivo sarà quello di costruire un nuovo modello, più integrato e sostenibile, capace di valorizzare le competenze e di garantire ai cittadini un accesso uniforme e continuo alle cure primarie.