In Italia più di 200mila persone convivono con l’epatite C senza saperlo. Un’infezione cronica che, se non diagnosticata e trattata in tempo, può evolvere in cirrosi epatica o tumore al fegato, compromettendo gravemente la salute. Alla vigilia della Giornata mondiale delle epatiti, le principali società scientifiche lanciano un appello urgente: rinnovare il piano nazionale, estendere lo screening e garantire l’accesso immediato alle cure.
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Gli strumenti ci sono, ma vanno usati meglio
Secondo AISF (Associazione italiana per lo studio del fegato) e SIMIT (Società italiana di malattie infettive e tropicali), le epatiti virali A, B, C e Delta possono essere tenute sotto controllo o addirittura eradicate. Le vaccinazioni sono disponibili per i ceppi A e B, mentre per le forme B, C e Delta sono necessari test mirati e tempestivi. Per l’epatite C, oggi curabile in oltre il 95% dei casi grazie a trattamenti di poche settimane, il nodo resta quello di intercettare i pazienti sommersi: chi è positivo spesso lo scopre troppo tardi, quando il danno al fegato è già esteso.
Screening in corso ma adesione insufficiente
Dal 2020 è attivo un programma gratuito di screening rivolto ai nati tra il 1969 e il 1989, finanziato con 71,5 milioni di euro. Tuttavia, la copertura è giudicata ancora inadeguata, con forti disomogeneità regionali. Il rischio, segnalano le società scientifiche, è che l’infezione resti latente e venga scoperta solo quando il paziente sviluppa complicanze gravi. Inoltre, in molti casi manca un percorso strutturato per garantire l’accesso alla terapia dopo la diagnosi.
Numeri in crescita ma troppo lentamente
I dati AIFA aggiornati al 1° luglio 2025 indicano che 275.502 pazienti sono stati avviati al trattamento, con un incremento di circa 11mila unità rispetto all’anno precedente. Una crescita che non è ancora sufficiente per rispettare l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che punta a eliminare l’epatite C entro il 2030. Servono più test, più fondi e una gestione più efficiente dei casi positivi.
L’impegno delle associazioni scientifiche
AISF e SIMIT sollecitano un rinnovo immediato del piano di screening, in scadenza alla fine dell’anno, e l’ampliamento delle fasce di popolazione coinvolte. In particolare, è cruciale includere anche soggetti a rischio al di fuori della coorte 1969-1989, oltre a rafforzare le strategie di follow-up terapeutico.
Prevenzione e diagnosi precoce per l'epatite c: due armi decisive

La campagna di sensibilizzazione “Non aspettare i sintomi, rendi virale la prevenzione”, promossa da enti sanitari e associazioni, punta a diffondere una cultura della diagnosi precoce. Per l’epatite C, spesso asintomatica nelle fasi iniziali, un test rapido può fare la differenza tra guarigione completa e patologia avanzata.
Visite specialistiche e prevenzione: quando controllarsi
Poiché l’epatite C può restare silente per anni, è fondamentale effettuare test sierologici specifici, soprattutto in presenza di fattori di rischio (trasfusioni prima del 1992, uso di sostanze per via endovenosa, tatuaggi o piercing in ambienti non sterili). Un semplice prelievo può rilevare la presenza del virus. I pazienti positivi devono essere subito indirizzati a visite specialistiche epatologiche, dove sarà valutata l’eventuale presenza di danni epatici e l’idoneità al trattamento antivirale. L’avvio tempestivo della cura è essenziale per la guarigione.
La sfida dei prossimi mesi
Rinnovare i fondi, rendere lo screening più capillare e garantire l’accesso immediato alla terapia sono i tre pilastri su cui costruire una vera strategia nazionale per l’eradicazione dell’epatite C. Le conoscenze scientifiche e i farmaci ci sono: ora serve una volontà politica chiara, una macchina organizzativa efficiente e il coinvolgimento attivo dei cittadini.