Negli ultimi tre decenni l’Italia ha assistito a un netto miglioramento nella gestione dello scompenso cardiaco, una delle principali cause di morte cardiovascolare. Oggi, grazie a terapie mirate e a un’organizzazione più efficace nella presa in carico del paziente, il tasso di mortalità si è ridotto drasticamente.

Scompenso cardiaco, che cos’è e chi colpisce

Lo scompenso cardiaco è una sindrome caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare sangue in modo sufficiente a soddisfare i bisogni dell’organismo. Si tratta di una condizione cronica, che può presentarsi in seguito a eventi acuti come un infarto o a causa di altre patologie cardiache pregresse. Colpisce circa il 2% della popolazione italiana, con circa 200 mila nuovi casi ogni anno.

Le fasce d’età più colpite sono quelle over 65, con una netta impennata tra gli ultraottantenni. Lo scompenso cardiaco è infatti la prima causa di ricovero ospedaliero in questa popolazione e resta in cima tra le cause di morte legate a patologie cardiovascolari.

La mortalità è crollata dal 1995 a oggi

Nel 1995 la mortalità per scompenso cardiaco superava il 10%. A presentare i dati aggiornati è stato Aldo Maggioni, direttore del Centro Studi Anmco (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri), durante un recente congresso di cardiologia a Rimini.

Oggi, a trent’anni di distanza, la percentuale di decessi per questa patologia si è ridotta fino al 5%. Un dato particolarmente positivo, considerata la complessità della sindrome e la fragilità dei pazienti coinvolti.

Farmaci e gestione integrata i due pilastri del miglioramento

Il miglioramento degli esiti clinici è attribuibile principalmente all’impiego sempre più esteso di farmaci efficaci, come quelli che agiscono sul sistema neuro-ormonale e i nuovi antagonisti dei recettori dell’aldosterone.

Ma il salto di qualità è arrivato anche grazie a un cambio di passo nella gestione complessiva del paziente: maggiore monitoraggio, percorsi di cura più strutturati e un’attenzione particolare al follow-up hanno contribuito alla drastica riduzione della mortalità.

Nei pazienti in cui si è osservato un miglioramento della funzione contrattile del ventricolo sinistro, la mortalità a un anno dalla diagnosi scende addirittura all’1,9%.

Resta il nodo dei ricoveri ripetuti

Un aspetto su cui però c’è ancora ampio margine di miglioramento è la riospedalizzazione. Secondo i dati presentati da Maggioni, un paziente su cinque con scompenso cardiaco viene ricoverato nuovamente entro un anno.

Si tratta di un elemento critico, perché ogni ricovero comporta un rischio clinico maggiore e un ulteriore aggravamento delle condizioni generali. L’obiettivo ora è quello di ridurre questi eventi attraverso una presa in carico ancora più personalizzata e continua.

I dati dello studio Bring-Up 3 Scompenso

La fotografia è emersa dallo studio Bring-Up 3 Scompenso, al quale hanno partecipato circa 5 mila pazienti nella prima fase e che oggi può contare su un database ancora più ampio, con oltre 4500 nuovi casi da tutta Italia.

Questo studio osservazionale ha permesso di confrontare realtà cliniche diverse sul territorio nazionale e valutare i risultati ottenuti nei vari contesti. Una sezione importante dell’indagine si è concentrata anche sulla prevenzione secondaria nei pazienti reduci da infarto miocardico o rivascolarizzazione coronarica.

I progressi nella gestione del colesterolo LDL

All’interno del progetto Bring-Up Prevenzione, che ha coinvolto 189 centri cardiologici, è stato analizzato un campione di 4790 pazienti. Al momento dell’inizio del monitoraggio, solo il 33% di loro aveva raggiunto un valore di colesterolo LDL sotto i 55 mg/dL, considerato il target ideale dalle linee guida.

Dopo sei mesi la percentuale è salita al 58% e dopo un anno al 62%, segno che i trattamenti farmacologici e le modifiche nello stile di vita stanno portando risultati tangibili anche su questo fronte, riducendo il rischio di progressione verso lo scompenso cardiaco.

Visite specialistiche e prevenzione, le armi più efficaci contro il rischio scompenso cardiaco

Visite specialistiche e prevenzione, le armi più efficaci contro il rischio scompenso cardiaco

Per contrastare lo scompenso cardiaco è fondamentale un approccio multidisciplinare che includa visite cardiologiche periodiche, monitoraggio dei valori pressori e della funzione ventricolare, oltre a screening mirati nei soggetti più a rischio.

Particolare attenzione va riservata ai pazienti con storia di infarto, ipertensione, diabete o patologie valvolari. La diagnosi precoce consente di avviare tempestivamente le terapie più indicate, evitando il peggioramento del quadro clinico e il ricorso a ospedalizzazioni ripetute.

Tra i sintomi da non sottovalutare: fiato corto, affaticamento anche a riposo, gonfiore a gambe e caviglie, aumento rapido di peso e palpitazioni.

Il futuro della cardiologia passa dalla continuità di cura

Gli studi dimostrano come la continuità assistenziale, la formazione del personale sanitario, e l’aderenza terapeutica da parte del paziente siano le chiavi di volta per ridurre ancora la mortalità e migliorare la qualità della vita delle persone colpite da scompenso cardiaco.

Il prossimo passo, secondo i cardiologi, sarà implementare modelli organizzativi che permettano un monitoraggio continuo, anche grazie alla tecnologia, e una presa in carico personalizzata, in grado di rispondere alle esigenze di ogni paziente in modo proattivo.

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