Le malattie cardiovascolari restano una delle principali cause di ospedalizzazione e mortalità in Italia, ma non in tutte le regioni i progressi sono stati uguali. A confermarlo è il secondo rapporto del Gruppo di Lavoro su equità e salute nelle Regioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che analizza l’andamento delle patologie cardiovascolari dal punto di vista geografico, clinico e sociale. Mentre la mortalità è complessivamente diminuita del 70% dal 1980 a oggi, resta ampia la distanza tra le regioni del Nord e quelle del Sud, non solo nei dati clinici, ma anche nella mobilità sanitaria e nei fattori di rischio.

La disomogeneità nei ricoveri per infarto e ictus

Nel 2023 il tasso di ricovero per infarto acuto del miocardio è calato a livello nazionale, ma la riduzione non ha riguardato tutte le aree allo stesso modo. Gli uomini sono passati da un tasso di 270,3 nel 2010 a 208,3, mentre per le donne si è scesi da 109,2 a 71,5. Tuttavia, le regioni del Sud continuano a registrare i tassi più elevati, superando Centro e Nord. La Valle d’Aosta è la regione con il tasso standardizzato più alto, seguita da Calabria e Liguria negli uomini, e da Calabria, Sicilia e Friuli Venezia Giulia nelle donne.

Il quadro si complica ulteriormente osservando i dati sull’ictus, che non mostrano un trend omogeneo. Le regioni del Nord negli ultimi anni hanno registrato tassi in crescita, con i valori più alti in Liguria, Bolzano e Umbria. Questo andamento frammentato segnala l’assenza di una risposta uniforme e strutturata nel contrasto a queste patologie.

La mobilità sanitaria cresce dove il sistema è più fragile

L’analisi dei dati relativi alla mobilità sanitaria conferma la presenza di forti squilibri regionali. Per l’intervento di bypass aortocoronarico, il Nord mantiene livelli di mobilità molto contenuti (intorno al 6%), mentre nel Centro si è osservato un andamento altalenante. Il Sud, invece, continua a mostrare i livelli più alti, con una crescita significativa dopo il 2020. La Calabria, in particolare, ha visto il tasso salire dal 14,6% del 2019 al 29,5% nel 2023.

Anche per quanto riguarda gli interventi sulle valvole cardiache, il divario è evidente. Le regioni settentrionali restano stabilmente sotto la media nazionale, mentre al Sud si sono raggiunti picchi fino al 27% di “fuga sanitaria” nel 2014. Dopo un calo negli anni successivi, i dati più recenti mostrano un ritorno a livelli pre-pandemici.

Un’Italia divisa anche nella mortalità per conseguenze da malattie cardiovascolari

Un’Italia divisa anche nella mortalità per conseguenze da malattie cardiovascolari

Nel 1980 il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari era pari a 903,70 ogni 100.000 abitanti. Nel 2021 il valore si è ridotto a 266,28, segnando un calo netto. Tuttavia, se in passato i maschi del Sud avevano valori leggermente inferiori alla media nazionale, oggi presentano i tassi più alti: 362,17 contro 316,59 nel Nord. Le donne meridionali hanno storicamente avuto e continuano ad avere una mortalità più alta rispetto alla media italiana.

Anni di vita persi: il peso invisibile delle diseguaglianze

Le malattie cardiovascolari non solo mietono vittime, ma contribuiscono in maniera determinante agli anni di vita persi: rappresentano il 20% nei maschi e il 16% nelle femmine. Anche qui il Sud sconta un peso maggiore, con valori più elevati rispetto al resto del Paese. Sebbene il trend sia in calo, le regioni meridionali restano penalizzate dalla combinazione tra condizioni sociali sfavorevoli e minore accesso alle cure.

Fattori di rischio e stili di vita: il cambiamento è ancora lontano

Il rapporto dell’ISS sottolinea che, dal 2008 a oggi, non si sono registrati miglioramenti significativi nei principali comportamenti a rischio. L’unico dato positivo è il calo della quota di fumatori (dal 30% al 24%). Peggiorano invece la sedentarietà (dal 23% al 28%) e l’obesità (10%, con il 33% della popolazione in sovrappeso). Il consumo di frutta e verdura resta sotto le raccomandazioni.

Il gradiente geografico è netto: al Sud si concentrano i comportamenti meno salutari e le disuguaglianze sociali. Chi ha minori risorse economiche o un basso livello di istruzione mostra un rischio più elevato.

Visite specialistiche e prevenzione: strumenti chiave per cambiare rotta

Di fronte a questi dati, è fondamentale agire su più fronti. Le visite cardiologiche mirate, soprattutto in presenza di sintomi come dolore toracico, affanno, affaticamento o battito irregolare, devono diventare una priorità. È importante monitorare i valori di pressione arteriosa, colesterolo, glicemia e BMI già in età adulta, anche in assenza di patologie diagnosticate.

La prevenzione deve iniziare dalla scuola, inserendo programmi di educazione alla salute nei piani didattici. Al tempo stesso è necessario rafforzare la rete territoriale dei servizi sanitari, favorire screening regolari e campagne di informazione capillari.

Costruire un sistema sanitario più equo

L’ISS evidenzia come la diseguaglianza non dipenda solo dai comportamenti individuali, ma anche dall’organizzazione del sistema sanitario. Il fenomeno della mobilità sanitaria è un indicatore evidente della mancanza di fiducia o dell’impossibilità di curarsi vicino casa.

Servono investimenti mirati nelle aree più deboli e un approccio integrato che coinvolga scuola, sanità, amministrazioni locali e cittadini. L’obiettivo deve essere la costruzione di un modello equo, in grado di garantire pari opportunità di diagnosi e cura in ogni parte del Paese.

I dati per una sanità del futuro

La disponibilità di dati di qualità è cruciale per elaborare politiche efficaci. Secondo l’ISS, è urgente potenziare la raccolta di dati primari e i sistemi di monitoraggio. Solo così sarà possibile disegnare strategie sanitarie basate su prove scientifiche solide, capaci di affrontare le sfide del presente e del futuro.

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