L’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute non si ferma ai disastri ambientali: colpisce anche in modo diretto e visibile la pelle. Le alterazioni climatiche in atto, in particolare il riscaldamento globale e l’incremento dell’inquinamento atmosferico, stanno generando effetti dermatologici rilevanti, sia nei soggetti predisposti che nella popolazione generale. Secondo gli specialisti della Società italiana di Dermatologia e malattie sessualmente trasmesse (SIDeMaST), l’esposizione a temperature sempre più alte e alla crescente intensità delle radiazioni ultraviolette (UV) è una delle prime cause di problematiche cutanee gravi.

Le radiazioni UV, acuite dalla progressiva riduzione dello strato di ozono, sono responsabili di un aumento del rischio di tumori cutanei. Per ogni punto percentuale perso di ozono, si stima un incremento dell’1-2% dei melanomi e fino al 4,6% dei carcinomi squamocellulari. Aumentano anche i casi di scottature e invecchiamento precoce della pelle. Un quadro aggravato dalla previsione che, entro il 2100, la temperatura globale possa aumentare di oltre 5 gradi Fahrenheit rispetto ai primi decenni del secolo scorso se le emissioni di gas serra non verranno ridotte drasticamente.

Smog e sostanze tossiche: cambiamenti climatici nemici invisibili della pelle

Smog e sostanze tossiche: cambiamenti climatici nemici invisibili della pelle

L’aria inquinata è un altro fattore ambientale che colpisce direttamente la pelle. Le polveri sottili, gli ossidi di azoto e le sostanze chimiche derivanti da attività industriali e traffico urbano compromettono la barriera cutanea. Ciò favorisce lo sviluppo e il peggioramento di patologie come acne, eczema, dermatiti e infiammazioni croniche. La pelle, essendo l’organo più esposto all’ambiente esterno, riflette le condizioni atmosferiche in modo immediato.

Dopo eventi estremi come ondate di calore o alluvioni, si registra un’impennata delle infezioni e delle infiammazioni dermatologiche. L’inquinamento, in sinergia con i mutamenti climatici, rende la pelle più vulnerabile e meno capace di difendersi da agenti patogeni esterni, alterando anche il suo microbioma naturale.

Più CO₂ significa più pollini e allergie cutanee

L’innalzamento delle concentrazioni di anidride carbonica (CO₂) ha un effetto diretto anche sul mondo vegetale, incentivando la crescita di piante allergeniche. Il risultato è un aumento considerevole della presenza di pollini nell’aria, con conseguente aggravamento delle patologie cutanee di origine allergica, come orticaria e dermatiti.

In parallelo, l’umidità e le precipitazioni aumentano in molte aree geografiche, favorendo la proliferazione di muffe e acari della polvere. Questo influisce soprattutto sui soggetti atopici, come i bambini con dermatite atopica, patologia che oggi colpisce tra il 5% e il 20% della popolazione pediatrica. Inondazioni e forti piogge sono state correlate a un aumento tra il 14% e il 31% dei ricoveri per dermatite atopica, oltre che a un peggioramento fino al 40% della psoriasi e di altre patologie infiammatorie nelle aree urbane.

Non solo caldo: anche il freddo estremo danneggia la pelle

Le temperature rigide non sono meno pericolose. Studi recenti mostrano che l’esposizione al freddo estremo provoca un incremento delle visite per dermatiti, specialmente nei bambini. In Cina, i casi di dermatite atopica sono aumentati del 160% durante i periodi di temperature sotto lo zero. In Giappone, una ricerca condotta su oltre 100.000 bambini ha evidenziato come una bassa pressione di vapore atmosferico accresca del 26% il rischio di sviluppare dermatite atopica entro i primi tre anni di vita.

Il freddo danneggia la funzione barriera della pelle, rendendola secca, screpolata e più soggetta a irritazioni e infiammazioni. Se a ciò si aggiunge la carenza di acqua, un altro effetto collaterale del cambiamento climatico, il danno è amplificato.

L’acqua contaminata minaccia la salute cutanea

La scarsità di risorse idriche e la contaminazione delle fonti d’acqua rappresentano un ulteriore fattore di rischio. Eventi catastrofici come le alluvioni possono diffondere agenti patogeni nell’acqua, esponendo la popolazione al contatto con batteri e sostanze nocive.

L’assenza di acqua pulita compromette l’igiene quotidiana e rende più difficile il mantenimento dell’equilibrio cutaneo. Il contatto con acqua contaminata altera il microbioma cutaneo, aumentando la suscettibilità a infezioni fungine, irritazioni e dermatiti persistenti. Le regioni italiane centro-settentrionali, sempre più colpite da eventi metereologici intensi, rappresentano aree ad alto rischio per questo tipo di problemi.

Visite specialistiche mirate e prevenzione: come difendere la pelle

È fondamentale programmare visite dermatologiche regolari, soprattutto in soggetti con predisposizione a patologie allergiche o infiammatorie. Segni da non sottovalutare includono eritemi persistenti, prurito, secchezza marcata e alterazioni dell’aspetto della pelle. Diagnosi precoce e monitoraggio costante consentono di intervenire con trattamenti mirati e prevenire complicazioni gravi.

La prevenzione passa anche da azioni quotidiane: usare filtri solari avanzati per proteggersi dai raggi UV, detergere correttamente la pelle dopo l’esposizione all’aria inquinata, mantenere un’adeguata idratazione e adottare una dieta ricca di antiossidanti. Nei periodi di maggiore concentrazione di pollini e allergeni, è consigliabile limitare il tempo trascorso all’aperto e utilizzare prodotti specifici per pelli sensibili o atopiche.

Serve un approccio integrato tra sanità e ambiente

Di fronte a questo scenario, diventa urgente unire le strategie sanitarie a quelle ambientali. L’obiettivo non può essere solo curare i sintomi ma agire sulle cause: ridurre le emissioni di gas serra, migliorare la qualità dell’aria, incentivare la tutela delle risorse idriche e promuovere l’educazione alla salute dermatologica.

La pelle è lo specchio dell’ambiente in cui viviamo. Proteggerla significa anche impegnarsi per un futuro più sostenibile. La collaborazione tra ricercatori, medici e decisori politici è essenziale per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico sulla salute umana.

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